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La valle dei mulini a Segusino, grazie a Google che pensa sempre a tutti noi e ci ricorda la nostra storia prima che l'oblio cancelli le nostre radici. Grazie Google, Gian Berra 2012 |
Due nuovo sito pieni di foto free...
Un racconto di Gian Berra del 2012. Inno a Pan e alle radici vive in tutti noi... testimone il morer, l'albero delle more.
Fenola e il morer.
Vicenda realmente accaduta nelle grave del Piave, tra Ciano e Covolo di Pederobba.... Là dove il Piave fa una grande ansa e gira deciso verso est, proprio di fianco a Crocetta e Ciano, le sue rive si allargano senza limite. E' possibile camminare per ore tra le lande sassose e non incontrare nessuno. Per questo ci vado spesso e tra erbe selvatiche e macchie rade di alberi fieri posso allargare lo sguardo sin dove può arrivare. Non ci sono limiti e così mi è facile lasciare che i ricordi prendano il colore dell'aria. Senza schemi la fantasia immagina e vive ogni realtà possibile. Sogna e ricorda, appunto. Se guardo verso sud lo sguardo è riempito dalla presenza del Montello, lunga e bassa collina che mi fa compagnia e incornicia come un abbraccio la riva di Ciano. E' facile fare tanta strada che poi, stanco, vorrei andare a ristorarmi un po'. Così quando arrivo alla croda granda, giro sicuro, e l'osteria di Fenola e proprio la vicino. Di mattina o di pomeriggio non c'è mai nessuno e Fenola è felice di poter parlare. Io del resto in tasca ho sempre di che pagarmi l'ombra di rosso. Qualche volta incontro anche Menico, sempre distratto e con lo sguardo scocciato. Quando lo vedo il cuore riprende a battere perché vorrei ascoltarlo ancora raccontare la sua storia, ma devo aspettare che Fenola sia di buon umore. Lui non vuole ascoltarla per niente. Lui è l'oste e va rispettato. Oggi è un pomeriggio di quelli. Svogliato e senza idee sto aiutandomi con un uovo sodo a finire il vino aspro di Fenola e guardo fuori i pioppi che sfumano verso le rive. Una volta , poco più in giù c'era una grande pozza d'acqua, quasi un lago, e la strada ci girava attorno. Sul lato accostato alla collina, la strada era solo un sentiero che girava per agli alberi. Questi formavano un bosco che si confondeva con la palude. Un grande morer solitario, imponente sulla riva , era il capo di tutti quegli alberi. Cresciuto senza padroni formava lui solo una macchia imponente. Pochi ci passavano accanto tranquilli o indifferenti. Lui chiedeva rispetto e l'otteneva senza fatica. L'ombra del morer era un regno a sé. Ed è in questo mondo sempre buio che… Forse non era stata una buona idea , ma Menico a volte non pensava. Si lasciava condurre così dai pensieri vaganti finché la strada non esisteva più. Si era avviato verso le grave anche se la sera ormai diventava quasi notte. Il fresco di settembre era appena accennato e l'aria calda ancora invitava a pensieri inquieti. Cosa cercare ancora tra quei sassi? Inquieto e svagato Menico aveva già dimenticato la giornata di lavoro e il buio lo chiamava senza ragione. Si accorse di essere lontano dal sentiero quando il fitto del bosco aveva già coperto la luce della sera. Il buio improvviso lo svegliò dal sognare e lasciò che un brivido freddo lo segnasse rapido come un lampo. Rallentò il passo, e cosciente del suo ritmo, con cautela proseguì verso l'acqua. Intuì il sospiro come se realmente potesse udirlo... ma appena tendeva l'orecchio il silenzio lo lasciava solo e deluso. Cos'era quel sussurro che non riusciva ad ascoltare? Furioso per ciò che gli sfuggiva, si sedette sulla sabbia, tra due grosse quercie, e guardando verso l'acqua vicina lasciò vagare l'attenzione come quando sognava. Lui sognava con la mente e i pensieri erano liberi, ma con gli occhi osservava il mondo da lontano. Così, ingannando la sua rabbia, lasciò entrare in sé ciò che non vedeva ne sentiva. Con la coda dell'occhio notò un movimento nel buio alla sua sinistra. Sapeva di non poter girare la testa, sentiva che se lo avesse fatto ogni cosa sarebbe svanita. Lo sapeva e basta. Si lasciò condurre dall'istinto e fingendo di guardare la palude, girò con prudenza il viso quanto bastava per osservare. E poi con infinita lentezza, cercando di nascondere la sua tensione, spostò lo sguardo con finta indifferenza. Sotto il gran morer un grumo scuro si muoveva. Non cercò subito di capire, ma lasciò che si rivelasse a lui la scena: Una figura grossa e ingobbita, piegata e tesa, era sopra un'altra figura seduta, appoggiata all'enorme tronco. Soffi e sbuffi e modi agitati rendevano tesa l'aria e Menico si sentì risvegliare il sangue. Il suo corpo non poteva ignorare il desiderio e già rispondeva al sogno nascosto. Il suo manico premeva nei calzoni e pretendeva attenzione: Quei due spandevano furia di vita con urla soffocate. Quello che stava sopra era fin troppo curvo sulla femmina, ma era instancabile e la faceva gemere quasi come un pianto sussurrato. Lei lo accoglieva abbracciandolo e tirandolo verso di sé muovendosi a ondate lente e ritmate.Poi poco alla volta il silenzio riprese a dominare gli attimi. I due rimasero ancora abbracciati in un'unica forma scura e Menico per paura di essere visto smise anche direspirare. Onde di odore muschiato solcavano come bassi sentieri l’aria tra i tronchi. Sembrava che anche gli alberi aspettassero l’apice che chiedeva sfogo e liberazione. Ma il temposembrava non passare mai e tutto era in attesa, in tensione; Menico viveva ciò come parte di ciò che accadeva. Menico già perdeva l’attenzione, un vago sonno ipnotico lo intorpidiva e lo rendeva pesante, lento… Per poco non si strozzò quando Lui si alzò: Un essere imponente, con legambe storte e la gobba, le spalle smisurate e la testa piccola, cercò di mettersi in equilibrio. Ma a Menico vennero i brividi quando vide e non volle credere. Quella creatura aveva i corni: eranopiccoli e curvati all'indietro come le capre. Menico si bloccò come fosse di ghiaccio. Lo sguardo si spostò allora su di Lei e la vide rilassata, appoggiata al grande morer, con le gambe aperte e le braccia abbandonate sui fianchi.Era bianca come la luna; liscia e quasi trasparente. Un corpo acerbo ma voglioso di vita. Il suo viso era delicato, piccolo e rotondo e risplendeva di riflessi azzurri. Capelli lisci e chiari le ricadevano sulle spalle. Un ciuffo d’argento filato spiccava superbo tra le cosce che accoglievano lo sguardo. Lei guardava il gigante con naturale interesse, lo squadrava e assorbiva la sua immagine… e vide Menico. Lei non mosse gli occhi, ma lo vide. Menico sentì in sé sciogliesi ogni volontà. Il mare infinito lo stava avvolgendo e sembrava annullare ogni pensiero. Tentò di ribellarsi mentre una parte di sé, ferita, gridava di non farlo. Il cuore sembrava scoppiargli nel petto e le mani artigliavano la sabbia. Con uno scatto doloroso staccò gli occhi da Lei e fu subito catturato dallo sguardo di Lui. Pupille di fuoco lo guardavano assenti e lo giudicavano. Poi divennero odio. Ora si era girato verso di lui. Le sue cosce pelose incorniciavano un pene appuntito ed esagerato. Nero nel nero. I piedi erano piccoli, quasi degli zoccoli, e vide anche un accenno di coda. Già il gigante stava per scattare quando Lei gli prese il polso peloso e lo trattenne.Menico si trovò bloccato a fissarli entrambi e tremando, finalmente ascoltò la sua paura. Scattò senza guardare e corse verso la strada senza neanche più pensare. Superò d’un balzo le rive solitarie e buie. Non vide i campi dove il granturco si seccava , ne sentì gli squittii impauriti delle pantegane disturbate. Corse e corse finché si ritrovò vicino alla casa dei signori Matiol. Poi si sedette e dietro un mucchio di fieno si lasciò andare ad un pianto senza vergogna.La luna da sopra lo consolava, ma era inutile. Menico si era bagnato i calzoni, e ora portava in sé il sogno più sogno di tutti. Non poteva tornare a casa così. No lui aveva visto Lei, e la sua immagine era fusa al suo cuore.Menico aveva visto Lui, e nessuno, oltre Lui sarebbe stato più terribile.Decise di rimanere con la luna, almeno per quella notte.
***

***
Menico non tornò a casa quella notte. Dormì nel fienile accanto alla fontana piccola. Poi si fece vedere affaccendato nell’orto di casa. Come si fosse alzato presto. Sua madre gli chiese qualcosa, ma poi non ci pensò più e lo lasciò stare.Menico invece non vedeva più le cose. Che ora era? Dove doveva andare? Ma oggi cosa c’era da fare? E i fianchi levigati di Lei erano li davanti a lui e chiedevano di essere accarezzati. La pelle di fanciulla, lucida e azzurrina era senza forma solida, ma prendeva quella del suo desiderio. Gli occhi di lei erano uno spicchio d’infinito e lo supplicavano di venire ad adorarla. La sua bocca da bambina era un frutto da gustare…La pancia di Menico era una tensione che voleva. Il sesso di Menico pretendeva. E la giornata non sapeva di nulla. Lui era solo. Ma stasera sarebbe tornato là. Certo che sì! Desiderava Lei come la vita. Le sere di settembre qui sul Piave di Ciano, sono lunghe e ancora calde e i profumi dell’estate indugiano nell’aria senza vento. Ma un vago senso di inquietudine, nascosto sotto la crosta delle cose che si vedono, rende inquieti i cuori. Specialmente quelli che si vogliono incontrare e hanno fretta di toccarsi e gustare il fatto di esistere. Così Menico si avvicinò quasi di corsa al bosco del morer, ma poi quando fu a pochi passi si nascose e rimase ad ascoltare. Nulla e nessuno era presente. Echi lontani sottolineavano un silenzio indifferente alla sua tensione. Si avvicinò al morer e la sabbia nulla diceva dei ricordi che lui si portava dentro.Sedette appoggiandosi al tronco e poco alla volta si lasciò avvolgere dalla penombra. La accettò come parte di sé e i pensieri si placarono. Bluette lo sentì quando era ancora nascosta sul lato fitto del bosco. Piano si avvicinò, studiando la sua attenzione. Ancora lui non l’aveva vista, ma sembrava sicuro di sé: lui nascondeva bene il suo desiderio. Lui la voleva: un umano!Si avvicinò ancora un poco e uscì con prudenza dall’ombra oscura di un’acacia, proprio di fronte la radura.E Menico che sognava ad occhi aperti non la vide finché una scintilla illuminò il punto nascosto del suo occhio destro e accese il suo desiderio. Il cuore ebbe un sussulto e si bloccò il respiro. La sua schiena si irrigidì e da solo il suo sguardo seppe dove guardare. La vide che usciva dal buio come se camminasse su una nuvola. Lei splendeva di luce propria e lo guardava sicura di sé. Le sue braccia cadevano naturali incorniciate dai lunghi capelli e il seno piccolo ma fiero si mostrava. Il ventre invitava al suo ciuffo di vita e le sue lunghe gambe si muovevano appena, lente e sicure. Lui venne catturato da qurgli occhi. Erano un mare su cui annegare.Quando Lei le fu vicina gli parve di entrare nella luce che la avvolgeva e il mondo di sempre non esisteva più.Non furono necessarie parole e lui non ricordò mai di averla toccata. Ma quando lui entrò in lei era come se si fosse annullato nel grande mare della vita e perse la sua identità sognando e gustando il suo abbraccio. Aveva provato il paradiso e non desiderava altro. Sentiva le sue forme e accarezzava il suo velluto e ogni carezza era quella più dolce. La voluttà di esistere e vivere era una realtà concreta. L’umido in cui si muoveva era l’invito ad una eternità di estasi senza fine…Poi gli occhi di lei che lo guardavano dentro, lo lasciarono giocare coi colori e l’infinito. Lui seppe quando questo finì. Quando poco alla volta il riposo lo riportò al mondo. Con lei vicino che lo guadava, lui sentì senza soffrire il distacco. Lei non permise al suo cuore di soffrire e gli rimase
vicina finché il sonno lo vinse.
°°°
Bluette lentamente si staccò dall’umano. Leggera come una foglia gli permise di rimanere nel sogno che lo rapiva e gli regalava vera gioia. Lei aveva conquistato il suo cuore e lui oraera suo per sempre. Ora quella scimmia umana aveva sperimentato l’infinito e il suo sguardo vagava oltre la nebbia di sempre.Lei sentiva in sé la forza che lui le aveva dato col suo desiderio. Aveva un sapore diverso da quella che Bronza le regalava: quella di Menico non sapeva di arroganza. Era piuttosto simile a quella dei bambini che non hanno limiti e osano il gioco, ma vogliono anche essere rassicurati.Così grazie al legame che lei aveva creato, avrebbe mantenuto in sé quel nuovo sapore. Un colore nuovo la colmava dentro e Bluette sapeva di avere vinto.Poi l’aria fredda della notte svegliò Menico, che stupito di ritrovarsi lì, si rivestì svogliato. Non vide la luna, e il buio attorno a lui era come una coperta di velluto. Lei non c’era più. Ma era come se fosse ancora con lui. La sentiva dentro come una cosa conquistata. L’aveva fatta sua. Una parte di sé la voleva toccare, e guardare ancora negli occhi; ma sapeva che non sarebbe più venuta. Aveva toccato il cielo e le cose non sarebbero più state le stesse. Menico si avviò mesto verso Ciano. Ora gli occhi vedevano le ombre degli alberi quasi vive, e lontano sul Montello notò strani riflessi che saettavano sopra il bosco. Sentì la civetta chiamare, e per la prima volta non provò fastidio; anzi, avrebbe voluto rispondere al saluto. Bastò questo a donargli un poco di calore. Menico sentiva la vita scorrere attorno a sé, e questa sensazione lo riempiva e lo confortava… Menico non era più solo.
°°°°

Chi ha visto quel diavolo, in quel posto non ci è più tornato.
©2012 Gian Berra
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Grazie Google, ecco Riva grassa a Segusino. Per quanto resterà integra come un ricordo di quando eravamo servi, ma con tanta umanità.... |